Perché quello che mangi negli all you can eat non è sushi: tutti i tagli del tonno da assaggiare
Chi ha sempre pensato che il sushi sia un riso pressato con sopra una fetta di salmone ghiacciato, magari servito in quantità industriali a 12,90€, non è mai stato in un vero sushi-ya in Giappone.
Lì, ogni boccone è un piccolo racconto: del mare, della stagione, della mano che lo prepara. E soprattutto, è un’esperienza che spazza via tutte le versioni più o meno nostrane. In un precedente articolo ho proposto una guida dettagliata su come consumare sushi e sashimi, qui invece voglio andare nel dettaglio sugli ingredienti e su certe parti del tonno poco note.
Il riso non è un contorno
In Giappone il cuore del sushi è lo shari: chicchi lucidi, leggermente tiepidi, che si sfaldano al primo morso. L’acidità è calibrata al millimetro con aceto di riso, zucchero e sale. Il wasabi? Non lo troverai a parte sul piatto, ma già tra riso e pesce, in una dose che esalta senza bruciare. È l’equilibrio perfetto. Si abbina perfettamente al sakè (in realtà nihonshu - 日本酒), soprattutto caldo. La differenza principale è sicuramente la consistenza e la temperatura. Infatti, come accennato, il riso del sushi in Giappone è morbido e tiepido a differenza delle palline dure e fredde di frigo che trovi in Italia (magari preparate il giorno prima!). E il sapore anche è completamente diverso, molto più presente e “condito”, ma anche qui ci sono diverse ricette e tradizioni (aceto di riso bianco o rosso…) che esaltano sapori e profumi diversi.
Foto su licenza Unsplash
Pesce vivo, nel senso di freschezza
Nei locali di alto livello il pesce non arriva dal congelatore, ma direttamente dal pescato del giorno o dalle taniche in loco, e spesso ancora a temperatura ambiente. Non si congela se non strettamente necessario: la qualità è talmente alta che l’abbattimento, in certi casi, sarebbe uno spreco. Non è infatti previsto come obbligo normativo se si rispettano certi parametri. Qui da noi invece, l’abbattimento per il consumo di pesce crudo è previsto per legge.
Ogni fetta è tagliata con movimenti precisi, non solo per estetica ma anche per rompere eventuali parassiti come l’anisakis. La lama qui è un’arma di sicurezza oltre che di bellezza: ammirare l’itamae (cuoco esperto di sushi e sashimi) in prima persona preparare il tuo pasto è un’esperienza suggestiva da non perdere.
Sapori che in Italia non arrivano: tutti i tagli del tonno
Oltre al solito salmone o tonno (maguro), il sushi giapponese ti fa scoprire universi di gusto quasi sconosciuti fuori dal Giappone, un po’ per cultura un po’ per la diversa fauna marina del Mediterraneo. Lo stesso tonno consumato in Giappone, che spesso proviene dai nostri mari come discusso in questo articolo, viene commerciato con moltissimi tagli a noi assolutamente sconosciuti. Insomma, del tonno non si butta via niente, ecco alcuni dei nomi che potresti incontrare nei ristoranti in Giappone:
Ōtoro (大トロ) – La ventresca più grassa, marmorizzata e burrosa, che si scioglie letteralmente in bocca. Generalmente è il taglio più ambito e spesso và sold out.
Chūtoro (中トロ) – Parte intermedia tra dorso e ventre; moderatamente grasso, perfetto equilibrio tra sapore intenso e freschezza marina. Spesso viene venduto come maguro generico di buona qualità.
Akami (赤身) – Il cuore magro e rosso vivo, dal sapore netto e pulito; ideale per chi preferisce un gusto deciso senza eccesso di grasso. Questo è praticamente l’unico taglio disponibile in Italia, dal gusto ferroso e sanguigno e consistenza compatta. Certamente non un taglio pregiato sebbene possa essere comunque di alta qualità e pregevole se freschissimo.
Kamatoro (カマトロ) – Zona vicino alle branchie, molto grassa e succulenta, simile a una costata marezzata; rarissimo e prezioso. In realtà da questa zona si estraggono due tagli, il kama che viene spesso cotto in zuppe o alla griglia e appunto il kamatoro che invece viene consumato crudo in forma di sashimi o sushi.
Kashira-niku (頭肉) – Sommità della testa, circa lo 0,5% del tonno; consistenza profonda e sapore intenso. Per palati coraggiosi.
Hōhō-niku (頬肉) – Carne delle guance, compatta e carnosa, delicata ma dalla consistenza più dura e carnosa per via della muscolatura facciale.
Nōten (脳天) – Vicino al cervello, morbidissimo e delicato, un taglio da veri intenditori.
Medama – L’occhio del tonno, gelatinoso e insolito, valorizzato in zuppe o piatti gourmet. Viene scottato, cotto in zuppe o proposto anche crudo per mantenere intatta la sua consistenza gommosa, simile al polpo.
Sashimi assortito. Foto su licenza Unsplash
Persino le parti meno note o considerate “minori” vengono esaltate nei ristoranti di qualità, un viaggio in Giappone allora prevede l’assaggio di più tagli del tonno per poter dire di aver effettivamente mangiato il vero sushi!
E tutte le altre varietà di pesci? Sono proprio loro che rendono l’esperienza in un ristorante vero di sushi in Giappone variegata e avventurosa: tanti infatti sono i sapori e le consistenze che si possono trovare. Qui di seguito ripropongo ancora un elenco di alcune varietà che conosco e che ho assaggiato:
Katsuo no Tataki (鰹のたたき) – Bonito scottato alla fiamma, servito con aglio e cipollotto. Si tratta di un tonnetto/palamita dalla carne rossa, meno pregiata del tonno grasso ma che, se consumata fresca e cruda o scottata, ha un sapore abbastanza delicato ma più intenso delle parti più rosee e tenere del maguro, chiamate toro. Piatto tipico della prefettura di Kochi, è difficile da trovare freschissimo altrove.
Shirako (白子) – Letteralmente bambini bianchi, sono le sacche seminali di pesce: cremosi, delicatissimi, si sciolgono in bocca. Simile ad una spuma di formaggio delicata. Il piatto viene servito con una spennellata di salsa di soia o semplicemente crudo e scondito.
Ika (イカ) – Calamaro dolce e tenero, inciso finemente per ammorbidirlo ma la consistenza rimane croccante e “soda”, molto divertente da addentare e squisito con salsa si soia, limone e wasabi.
Tai (鯛) – Red snapper giapponese, simbolo di buon auspicio e carni bianche eleganti. Morbido e delicato ma più compatto rispetto al toro, abbastanza ricercato.
Aji (鯵) – Una specie di sgombro del Pacifico, spesso servito un po’ scottato o completamente crudo. Molto morbido e delicato (simile al maguro ma più economico), è uno dei miei preferiti anche perché si tratta di un pesce azzurro di dimensioni contenute e una vita più breve rispetto ai grandi predatori del mare come tonni e pesci spada, questo lo rende un’alternativa più sana in quanto meno ricco di mercurio e contaminanti.
Hotate (帆立) – Capasanta giapponese, diverse dalle nostrane: sono più piccole e delicate. Crude con un po’ di limone e wasabi sono la fine del mondo, un altro dei miei piatti preferiti.
Non tutto il sushi è uguale in Giappone
Come anticipato, il sushi è declinato in modi diversi e vale la pena provare diverse tipologie per poter tornare in Italia senza rimpianti.
Edo-mae (江戸前) – È il sushi nato a Tokyo quando si chiamava ancora Edo. Ai tempi non c’erano frigoriferi, quindi i pescatori della baia conservavano il pesce con tecniche che oggi sono diventate arte: marinature nella soia, salature, leggeri passaggi in aceto o cotture lampo. Ancora oggi, nei ristoranti tradizionali, puoi trovare kohada (un piccolo pesce argentato) marinato, anago (anguilla di mare) glassata, o tonno lasciato riposare per ore perché il sapore diventi più profondo. L’edo-mae è elegante, calibrato, e sa raccontare il mare con il fascino della pazienza. Oggi è la versione di sushi standard: piccoli bocconi e sapori delicati, alcuni tagli di pesce vengono scottati alla piastra.
Osaka-zushi (大阪寿司) – Qui il sushi si fa “in pressione”: il oshi-zushi. Invece di modellare ogni boccone a mano, si usa uno stampo di legno per pressare strati di riso e pesce (spesso sgombro o anago), a volte con foglie di kombu tra gli strati per profumare. Il risultato è un rettangolo compatto, preciso come un origami culinario, che si taglia a cubi perfetti. È uno stile più rustico e conviviale, nato per essere trasportato e condiviso. Spesso dal sapore più deciso e consistenza più compatta, diffuso soprattutto nei bento da portarsi in shinkansen.
Stile Hachijō e altre isole – Lontano da Tokyo, su isole come Hachijōjima, il sushi stupisce: il wasabi non c’è, sostituito dalla senape giapponese (karashi), più pungente e diretta. Questo perché, in passato, il wasabi fresco non era disponibile: la senape dava quel pizzico di calore e aiutava anche a conservare il pesce leggermente marinato. Il gusto è più deciso e ricco, la senape è dolciastra e più saporita del wasabi e la quantità generosa che viene usata dona una piccantezza balsamica notevole. Il pesce invece è marinato in aceto rosso.
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Mangiare sushi in Giappone è come guardare un’opera d’arte
Il banco è il palcoscenico. Lo chef prepara ogni pezzo con un’esibizione tra tecnica, passione, eleganza e rispetto. Se riesci a instaurare un minimo di dialogo, ti puoi affidare a lui nella proposta di una degustazione o nella spiegazione dei diversi tagli a sua disposizione. Il sushi qui lo si può trovare di diversi livelli ma è sempre trattato con rispetto, anche quello del supermercato è dignitoso (qui tendo a preferire il semplice sashimi) ma una cena in un vero ristorante di qualità può costare anche più di 90-110€ a persona dopo pochi bocconi, cosa che comunque consiglio vivamente di fare.
Mangiare sushi in Giappone è una lezione di pazienza, precisione e rispetto per il mare. Dopo, non metterai più piede in un all you can eat o ristorante “giapponese” in Italia.
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