Scuole in Italia e in Giappone: infrastrutture, orari, pulizia e materie a confronto
Settembre, in Italia, significa zaini nuovi, compiti delle vacanze dimenticati e il ritorno dei ragazzi sui banchi. In Giappone, invece, l’anno scolastico è già a metà strada: inizia ad aprile, quando fioriscono i ciliegi, e si chiude a marzo, seguendo un ritmo che accompagna il ciclo naturale delle stagioni. Questo semplice dettaglio del calendario racconta già molto delle differenze tra i due sistemi: uno legato alla tradizione cristiana e agricola europea (evidentemente ormai superata e messa alla prova da estati sempre più calde e infrastrutture fatiscenti non attrezzate), l’altro che scandisce l’apprendimento con il rinnovarsi della natura.
In entrambi i paesi l’istruzione di base è un diritto e un dovere (scuola dell’obbligo fino ai 16 anni in Italia e fino a 15 anni in Giappone), ma prende forme diverse. In Giappone i bambini frequentano sei anni di scuola elementare e tre di scuola media inferiore. In Italia il percorso è simile nella durata complessiva, ma strutturato in maniera diversa: cinque anni di primaria seguiti da tre di secondaria di primo grado. Già da questa differenza emerge come in Giappone si dia priorità ad una formazione comune uniforme e diffusa in età pediatrica prima delle superiori.
Ma è soprattutto il tempo passato a scuola ad essere gestito in modi differenti. Le giornate degli alunni giapponesi sono lunghe ma scandite con rigore: lezioni di circa 45 minuti, un ritmo serrato che alterna lingua, matematica, scienze, studi sociali, educazione artistica e fisica. La musica e il disegno hanno un posto importante, così come l’educazione morale, materia autonoma che insegna rispetto reciproco, responsabilità civica e comportamenti quotidiani, come le pulizie di gruppo. In Italia il quadro è meno compatto: accanto alle materie di base ci sono lingue straniere, educazione civica, arte, musica, ma la distribuzione delle ore varia da scuola a scuola. Alcuni istituti offrono il tempo pieno, altri hanno orari ridotti: la qualità della giornata scolastica dipende spesso dalle risorse locali più che da un disegno nazionale uniforme in quanto le singole scuole sono considerate vere e proprie aziende.
Tipica scuola in Giappone. Foto su licenza Unsplash
Il dopo scuola
Dove il Giappone sorprende di più è nel “dopo scuola”. I famosi club — sportivi, culturali o artistici — non sono obbligatori ma quasi tutti gli studenti vi partecipano. Calcio, baseball, arti marziali, orchestre, calligrafia: i club diventano una seconda casa e insegnano disciplina, spirito di gruppo e gestione del tempo. In Italia l’offerta extrascolastica dipende dalle famiglie o da associazioni esterne: la scuola pubblica raramente copre questo ruolo, se non con progetti pomeridiani a macchia di leopardo. Questo è un noto problema della scuola italiana, bambini e ragazzi sono gestiti solo in una piccola fascia oraria e in estate, si richiede alle famiglie di tenere occupati i propri figli per interi mesi.
Dress code: individualismo vs uniforme
L’uniforme scolastica è un altro simbolo evidente. In Giappone è praticamente la norma: divisa invernale ed estiva, regole precise su scarpe, acconciatura, perfino il colore degli zaini. In Italia il discorso è molto più rilassato: qualche grembiule alle elementari, ma per il resto libertà di espressione. Alcuni istituti hanno regole interne sul decoro un po’ stringenti e spesso criticate, ma raramente nella scuola pubblica ci si affida all’uniforme. Se da un lato questo favorisce individualità, dall’altro in Giappone l’uniforme alimenta senso di appartenenza e uguaglianza, eliminando almeno in parte le differenze sociali percepite nei vestiti (marche costose vs vestiti del mercato ecc…).
Studenti in uniforme. Foto su licenza Unsplash
Non solo studio
Ma la vera “lezione” giapponese sta forse nella gestione degli spazi scolastici. Alla fine delle lezioni, i bambini non tornano subito a casa: restano a scuola per pulire le aule, i corridoi, i bagni. Non è punizione, ma routine quotidiana. L’idea è semplice e potente: la comunità scolastica è un bene comune, va mantenuto da chi la vive ogni giorno. Ovviamente è qui che si forma il famoso e rinomato senso civico giapponese, un’utopia in Italia… mi immagino già associazioni di genitori e cortei studenteschi contro lo sfruttamento minorile! In Italia la pulizia è affidata al personale ATA; agli studenti si chiede rispetto degli ambienti, ma raramente partecipano attivamente alla cura degli spazi. Una differenza culturale che mostra due modi opposti di intendere l’educazione civica.
Anche il rapporto con gli insegnanti è diverso. In Italia il corpo docente è suddiviso tra maestri e professori, con una gerarchia scandita dai dirigenti scolastici e dalle norme ministeriali. In Giappone gli insegnanti delle elementari sono figure generaliste che seguono i bambini in quasi tutte le materie, mentre alle medie diventano specialisti. Tutti, però, condividono un ruolo che va oltre la trasmissione di conoscenze: sono modelli di comportamento e guide morali, in linea con le indicazioni del Ministero dell’Istruzione giapponese. Inoltre c’è anche la nota figura del senpai, studenti più grandi che gli stessi studenti più piccoli devono cercare e farseli amici come figura da mentore, incentivando la socialità e la responsabilizzazione con l’età. Anche qui emerge la differenza tra un sistema che punta sull’autonomia delle scuole, come in Italia, e uno che si fonda su linee guida centrali molto dettagliate e omogenee a livello nazionale per ridurre al minimo discrepanze e diseguaglianze.
Detto questo, in Giappone, nelle scuole superiori, è diffusa la pratica di creare sezioni e classi con gli studenti più dotati, con programmi potenziati, al fine di garantire loro maggior probabilità di accesso nelle migliori università.
Reperto preistorico dei miei anni al liceo. Foto di Walk of Japan
L’autonomia degli studenti
In Giappone è normale vedere bambini delle elementari che vanno a scuola da soli, in piccoli gruppi, percorrendo a piedi strade sicure o prendere mezzi pubblici. È parte dell’educazione: crescere significa imparare a muoversi nel mondo con responsabilità. In Italia questa scena non solo è rara ma è proprio illegale: i bambini infatti devono essere prelevati da un genitore o altro adulto con delega. Solo dalle medie i genitori possono autorizzare la scuola a “liberare” i propri figli autonomamente. In generale dunque le famiglie accompagnano i figli almeno fino alla fine delle medie, soprattutto per motivi di sicurezza urbana e cultura. Decisamente due percezioni opposte del rischio e dell’indipendenza in gioventù.
Due società a confronto che possono imparare l’una dall’altra
Il confronto tra la scuola italiana e quella giapponese mette in risalto luci e ombre di entrambe le società: l’Italia con la sua ricchezza di diversità, ma anche le sue disuguaglianze territoriali; il Giappone con il suo rigore collettivo e la ricerca di armonia sociale, talvolta a scapito dell’individualità.
Da sempre ho pensato che entrambi i paesi possano, come alunni a scuola, imparare gli uni dagli altri proprio partendo dal sistema educativo. Sicuramente in Italia avremmo bisogno di più senso civico, senso di comunità e una copertura maggiore del calendario per permettere ai genitori di avere una buona continuità lavorativa e non vedersi obbligati a prendere ferie durante l’estate e pagare costosi servizi accessori come estate ragazzi o altri programmi pomeridiani. Apprezzo moltissimo anche come l’educazione alle arti sia di grande rilievo in Giappone, qui infatti si formano anche molti musicisti che vengono poi a specializzarsi presso i nostri prestigiosi conservatori.
Viceversa il Giappone potrebbe da noi imparare quel poco di spontaneità utile nel districarsi nei problemi della vita, cosa che spesso un approccio più individualista riesce a mettere in risalto lasciando più spazio alla singola persona e al suo modo unico di trovare una soluzione a problemi diversi.
Alla fine, si tratta di due sistemi educativi comunque considerati di eccellenza nel mondo e, nonostante i loro limiti e le loro contraddizioni, spetta sempre agli studenti e alle loro famiglie farne l’uso migliore possibile per arricchirsi, crescere e sviluppare cultura, senso civico, spirito critico e metodo di studio e apprendimento.
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